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Postura e stretching

By 26 Novembre 2018Postura

Come postura e stretching influiscono sul nostro benessere fisico

Giusto una settimana fa, leggendo un articolo sulla rieducazione del ginocchio su questo blog, ho cominciato a pormi qualche domanda. Si parlava del corpo umano come struttura tensegrile, di questo sistema che sin da quando cominciamo a muovere i primi passi comincia a metterci a disposizione la sua ingegneria per resistere alla forza di gravità . Peccato che poi la maggior parte di noi in modo “ingrato”, con la sedentarietà o con uno stile di vita frenetico e/o peggio con una mancata prevenzione non dia un supporto a questo complesso sistema andando incontro ad adattamenti che prima o poi sfoceranno in posture errate e non funzionali.

Nell’ultimo articolo come un vero e proprio campanello d’allarme si richiamava alla presa di coscienza della tensegrità, in parole più semplici: in caso appunto di infortunio al ginocchio, ad esempio, non fermarsi solamente all’osservazione e alla valutazione di strutture anatomiche contigue come anca e caviglia, ma bensì di concepire il corpo come un’intera struttura elastica. Quindi un mancato approccio globale del corpo non farebbe altro che rinviare il problema creando altre disfunzioni.

Ci si poneva quindi la domanda: questa filosofia è valida solo in termini di rieducazione? Vale per qualsiasi percorso allenante post infortunio? Oppure può essere applicata anche per fini preventivi se non addirittura di performance? E ancora: quanto è utile lo stretching a tal proposito? E’ utile per una migliore performance o lo limitiamo solamente a una fase correttiva del “protocollo”? Porta questa tecnica ad effetttivi miglioramenti?

Prendiamo come esempio il Calcio (ovviamente…). Negli ultimi anni complici il ricambio continuo di mode si sta assistendo a molte proposte di Core Training e Speed Agility spesso lontane dal modello di prestazione. A questo si accostano anche disparate modalità di stretching, un’infinità di esercizi su tavole propriocettive e sempre più difficile varianti di plank come se si facesse a gara a chi è più equilibrista. Partiamo dal presupposto che il core training, in qualsiasi disciplina come anche nella vita quotidiana ha un nobile scopo: educare il sistema nervoso a fornire al nostro corpo una solida impalcatura interna al fine resistere il più a lungo possibile alla forza di gravità. Una struttura più forte e adatta a questo scopo garantirebbe anche una miglior fisiologia e naturalezza dei nostri movimenti e funzioni più naturali (respirare, camminare, correre, lanciare etc.) e ovviamente anche prevenire infortuni.

Un buon allenamento del Core infatti attraverso una maggiore stabilizzazione del rachide e del pavimento pelvico, sempre in relazione alle finalità dinamiche di un movimento, aiuta sicuramente a prevenire:

Squilibri muscolari: un muscolo Trasverso dell’addome (TVA) debole o poco forte automaticamente comporterà rigidità a livello lombare come di tutta la muscolatura spinale (curve fisiologiche accentuate)

Squilibri funzionali: un mancato equilibrio muscolare porterà i principali punti di snodo (v. Meridiani miofasciali di Myers) ad atteggiamenti innaturali di compenso, shift del bacino, ante o retroposizione del capo, instabilità del ginocchio e/o caviglie

Compressioni provenienti sia dal terreno che dalla forza di gravità: l’alterazione dei giochi di forza e pressione dei tre diaframmi (pelvico, epigastrico, cervicale) comporterà l’alterazione di molte funzioni primarie quali ad esempio quelle viscerali e tra tutte il respiro (una debolezza di un diaframma incapace di espandere le coste su tutti i piani comporterà automaticamente una flessione della colonna in avanti).

Per evitare di arrivare ad una di queste conseguenze bisogna sicuramente cercare di concepire il corpo nell’allineamento fisiologico per preservarne le sue strutture.“Ma molti calciatori e atleti hanno comunque una loro postura che, anche se non perfetta, è sicuramente funzionale al loro modello di prestazione. Se li andiamo a correggere non renderanno mai come prima”. Discutendo su ogni singolo caso non hanno completamente torto tutti quegli addetti ai lavori che sostengono questa idea, soprattutto per chi lavora ad alti livelli, lì dove c’è una certo tipo di priorità ( giocare a tutti i costi, fare goal, pericolo di svalutazione del calciatore etc..).

Ma perché arrivare ad esasperare una struttura corporea fino allo sfinimento? E’ possibile avere un giorno calciatori che non abbiamo per forza accentuazione delle curve, varismo ginocchio, rotazioni cingoli scapolare e pelvico etc.. o dobbiamo per forza andare incontro ad una perenne selezione naturale ?

Entrando nello specifico cerchiamo di capire come si potrebbero applicare questi principi nella metodologia dell’allenamento del calcio e che allo stesso tempo abbiano una forte componente correttiva della postura e del gesto. In tutti gli sport (come anche nella vita quotidiana) l’ideale è riuscire a concepire esercizi che vadano ad allenare il movimento su tutti i piani sagittale, frontale e trasverso.

Il calcio è uno sport essenzialmente asimmetrico che privilegia l’utilizzo degli arti inferiori. Il calciatore professionista come il dilettante, acquisisce col tempo una postura funzionale alla metodologia di allenamento e ai carichi di lavoro a cui è sottoposto. Non vi è infatti un singolo movimento che non coinvolga tutti e tre i piani, dalla corsa al cambio direzione, dal calciare la palla al contrasto. Dato il quantitativo enorme di open skills la postura predominante del calciatore è quasi sempre quella di guardia per essere pronto ad esprimere più forza esplosiva possibile durante un cambio di direzione o un salto. A tal proposito il muscolo Psoas come tutti i flessori dell’anca sviluppano una condizione di notevole eccentricità, e il sistema nervoso fissa queste informazioni.

Non dico che è la causa principale di molte lordosi accentuate tra i calciatori dilettanti e professionisti. Sicuramente però questo atteggiamento contribuirà molto a ipercompensare la linea superficiale anteriore e probabilmente anche ad ipertrofizzare il muscolo ileopsoas e di tutti i flessori dell’anca, provocando uno shift in avanti del bacino.

Se all’esasperazione di certe posture si aggiungono anni e anni di allenamento con carichi sul piano sagittale ( basic squat, lunge, crunch), escludendo sia il piano frontale che quello trasverso, l’incidenza di determinate patologie è sicuramente inarrestabile in quanto sicuramente si raggiungono notevoli risultati ed un grandissimo sprint, ma con probabili conseguenze dovute da significative compressioni a livello lombare e del pavimento pelvico!

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Un esempio di proposta tratta da Functional Patterns su come allenare il cambio di direzione nel calcio in modo più fisiologico sfruttando tutti i piani di movimento lo trovate cliccando qui.

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In questa valida alternativa alla normale esercitazione coordinativa alla speed ladder notiamo infatti come al momento del cambio di direzione il corpo sembra avvolgersi su tutti e tre i piani di movimento citati (sagittale, frontale e trasversale) previa sempre un’ attivazione del Core, del trasverso e della parte superiore del corpo. Un pieno sfruttamento dei Sistemi Obliqui Anteriore e Posteriore (v. Meridiani Miofasciali di Myers) andrebbe a garantire non solo una maggior esplosività ma andrebbe anche a preservare le articolazioni perché in un miglior allineamento funzionale e nel giusto ROM articolare.

Ribadendo di nuovo che la postura del calciatore a causa del suo modello di prestazione è influenzata da diversi fattori, come il grado di mobilità articolare e di estendibilità muscolare, quanto può incidere lo stretching sulla sua prestazione? E’ veramente utile per un corretto allineamento posturale?

Prima di tutto, per la finalità di questo articolo/discussione intendiamo lo stretching come una tecnica utile per recuperare, migliorare o mantenere il suo ROM. Quando facciamo stretching andiamo a riprodurre essenzialmente le caratteristiche di una contrazione di tipo eccentrico. Un muscolo in contrazione eccentrica di conseguenza causa la momentanea interruzione della sua vascolarizzazione, lavorando così in modo anaerobico aumenta di fatto la sua condizione di acidosi. Già da questa considerazione possiamo intuire quindi che non si verificano le condizioni ideali per concepirlo come un buon metodo di riscaldamento

In una review del 2011, aggiornata poi di recente nel 2018, Kay et. al (Effect of Acute Static Stretch on Maximal Muscle Performance: A Systematic Review. Med Sci Sports Exerc. 2011 Jun 8) dopo aver selezionato 100 tra 4500 studi affermano che lo stretching statico effettuato durante il riscaldamento non va a migliorare la potenza muscolare, anzi addirittura se svolto con un tempo maggiore di 60 secondi può portare effetti negativi sulla forza massimale e sulla potenza muscolare. Anche Simic et al. (Does pre-exercise static stretching inhibit maximal muscular performance? A meta-analytical review. Scand J Med Sci Sports 2013) dopo aver analizzato all’incirca 104 studi affermano che lo stretching come unica attività deve essere evitato.

Tornando di nuovo nell’ambito riabilitativo/ rieducativo in una review del 2010 Katalinic e al analizzano 35 studi e gli effetti su 1310 partecipanti e affermano che lo lo stretching applicato su contratture muscolari causate da operazioni, problemi neurologici e immobilizzazioni non hanno alcun effetto positivo a breve termine. Il perché si sia citata una fonte di studio su una popolazione completamente diversa da quella trattata fino a questo è semplice. Innanzitutto le componenti su cui ruotano i diversi protocolli di riabilitazione e rieducazione sono gli stessi principi usati per ottimizzare le performance nei vari sport:

–  Specificità

–  Aumento di carico

Numero di ripetizioni

In entrambi i casi quindi bisogna avere sempre tassativamente un approccio funzionale e individuale, che vada dalle attività della vita quotidiana al gesto specifico di un determinato sport. Non con lo stretching, ma con la ripetizione funzionale “esagerata” (e ovviamente corretta) dei movimenti che si svolgono quotidianamente.

Se un muscolo di una determinata catena muscolare è particolarmente retratto o accorciato rimarrà tale pure in caso di una condizione di allungamento estenuante. Basti pensare ad una catena composta da tanti anelli di caucciù intervallati da uno o più anelli di ferro; se cominciamo a tirare ad un’ estremità questa catena noteremmo come gli anelli di caucciù ( i muscoli “in salute”) si allungano mentre l’anello di ferro (il muscolo accorciato o retratto)manterrebbe invariata la sua lunghezza. (cit. Martino Polizzi Functional Patterns Catania).

Da ciò capiamo quindi che la condizione che ha generato la limitazione di un determinato movimento rimarrebbe invariata, e con questa quindi anche la disfunzione da essa provocata. Infatti, il cervello non conosce ossa e muscoli ma i movimenti e su questo si deve basare ogni metodologia d’allenamento.

Lo Stretching servirà quindi a qualcosa? Di tutto questo ne parleremo al Brain Storming sullo Stretching il 01 dicembre per cercare insieme di dare delle risposte a tutto ciò.

 

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