Ciao lettori, oggi vogliamo parlarvi di un argomento non molto conosciuto, la FOMO vale a dire la paura di essere tagliati fuori (fear of missing out).
Tagliati fuori, ma da cosa? Dal mondo virtuale, col sopravvento che i social hanno avuto nella nostra quotidianità è peggiorata una forma di ansia sociale: “Gli altri staranno facendo qualcosa di più interessante ed adrenalinico rispetto a me? Ho qualcosa in meno rispetto agli altri? Mi sto perdendo qualcosa di meglio rispetto a ciò che ho?”. Dunque si tratta di una malattia ed affligge tutti gli ossessionati dalla comunicazione e dalle notifiche, il cui allenamento preferito è “lo scrolling”: “Ho controllato Facebook negli ultimi 5 minuti?”; “Cavolo, quanto si sta divertendo!”; “È in vacanza in un posto paradisiaco”; “Ho ricevuto commenti? Quanti like?”. Pensiamo alla FOMO come ad un lago, i suoi emissari sono l’ansia, la depressione, l’insonnia, qualsivoglia prebenda personale.
Questa fobia è stata oggetto di studi ed analisi, per descrivere al meglio il disordine psicologico causato dall’uso troppo frequente dalla tecnologia. Gli utenti possono essere consumati dal bisogno ossessivo di controllare ciò che gli altri fanno. Un bisogno talvolta ingiustificato ma che, se non viene soddisfatto, può causare una vera e propria crisi d’astinenza.
Secondo uno studio del centro americano Kleiner Perkins Caufield & Byers’s “un utente medio guarda lo smartphone circa 150 volte al giorno, una volta ogni 6 minuti. In aumento anche il numero di coloro che controllano la posta elettronica e i propri profili social molto presto al mattino, presumibilmente appena aprono gli occhi.”. Eh, beh! Ad ogni risveglio si pensa: “il mondo non è crollato, però qualche notifica l’ho trovata”.
Una smania di essere connessi che rischia di penalizzare non solo la nostra vita sociale, ma anche il nostro rendimento sul lavoro. In Italia non esistono ancora ricerche sulla FOMO, ma molte persone avvertono lo stesso disagio sociale, disagio che esprimono utilizzando le stesse piattaforme che lo creano.
A questo, sentiamo di aggiungere un ulteriore disagio psicologico che consiste nell’esigenza di richiamare attenzioni; l’esigenza dell’essere accettati;,di esistere per qualcuno. Facciamo riferimento ovviamente ad attenzioni fasulle, che durano il tempo di un soffio sulla fiamma di una candela. Una vera attenzione è dettata da un sentire profondo, e non certo da un effimero ed omologato cuoricino rosso.
Stando a quanto scritto sinora, sentiamo di dire che i social media sono connessi al nostro benessere psicofisico, tanto che il loro utilizzo influenza il nostro umore, nel migliore dei casi, e la nostra personalità, nei peggiori. Sta evolvendo la modalità con cui si instaurano relazioni sociali ed anche il modo di condividere esperienze di vita. Il fatto che si possano sviluppare relazioni comode, fatte solo di chat e cuoricini, porta a sviluppare la paura dell’incontro o comunque a considerare la relazione labile e quindi terminabile in ogni momento.
Ma come intervenire e migliorare?
A questa domanda ci sentiamo di rispondere riprendendo il “principio della rana bollita” utilizzato dal filosofo Chomsky per descrivere la società ed i popoli che accettando passivamente, il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori e dell’etica, accettano di fatto la deriva. Non ci sono basi scientifiche a dimostrare questo principio, ma è un ottimo spunto, valido in sociologia e psicologia, per spiegare determinati comportamenti. Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida.
La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale, adesso l’acqua è calda un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita e non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana muore semplicemente bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.
Questa metafora per dire che adeguarsi non è sempre la scelta migliore da fare, anzi a volte, è la peggiore. Fondamentalmente la paura più grossa che le persone hanno quando si tratta di andare contro a qualcosa che bene o male ci porta ad una stasi è quella del cambiamento: inevitabilmente quando la rana dovrebbe saltare fuori dalla pentola dovrebbe anche cambiare la sua situazione e questo la spaventa molto più dell’acqua che si sta scaldando. Tutto ritorna, ed ancora una volta ritorna quello che da sempre professiamo: il cambiamento consapevole.
Vi salutiamo con una frase che ha fatto breccia nel nostro cuore perché ben sposa ciò che abbiamo ormai interiorizzato nel Mondo FitLab: “Vivere è così sorprendente che lascia poco spazio per qualsiasi altra cosa”.